L'OSPEDALE - San Francesco Grande - Padova

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LA PARROCCHIA
Ospedale di San Francesco Grande
(di Maurizio Rippa Bonati)
La fondazione
 La prima pietra dell'Ospedale di San Francesco venne posata il 25 ottobre 1414, in un terreno dell'omonima via di fronte all'attuale chiesetta di Santa Margherita. Due anni dopo venne dato inizio alla costruzione di una chiesa, anch'essa dedicata al Santo di Assisi.
 Nel corso del Quattrocento l'"Hospedal de san Franzescho de la Osservantia" e l'annesso omonimo convento si svilupparono fino ad occupare una vasta porzione del grande isolato triangolare che - come si può vedere nel plastico - è delimitato a Nord dalla contrada di Pontecorvo (ora via San Francesco), a Ovest dal selciato del Santo (ora via del Santo) e a Sud-Est da via dei Vignali (ora via Galileo Galilei). Il complesso di edifici laici e religiosi comprendeva fabbricati principali e accessori, chiostri, cortili, broli e orti che giustificano ampiamente l'attribuzione popolare del nome di "San Francesco Grande".
 Aspetto assolutamente non trascurabile dell'intera operazione è che tutte queste impegnative realizzazioni - ospedale, chiesa e convento, senza dimenticare la vicina sede della Confraternita di Santa Maria della Carità - sono dovute all'impegno morale e allo sforzo economico di due privati cittadini: i coniugi Baldo da Piombino, detto "Bonafari", e Sibilia de' Cetto.
 Tra i numerosi aspetti da tener presenti ne ricordiamo alcuni. L'Ospedale di San Francesco fu una realizzazione ex novo; non fu cioè un adattamento di edifici preesistenti - che, anzi, là dove esistevano vennero abbattuti - né come accadeva nella maggioranza di casi, ebbe origine come filiazione o propaggine di una già esistente istituzione religiosa o laica. Come accennato, la costruzione della chiesa e del convento fu successiva, seppure di pochi anni, a quella dell'ospedale.
 Altro elemento degno di nota è la scelta del luogo dove realizzare la struttura. Nel caso specifico venne trascurata la prassi ormai consolidata di "confinare" le strutture destinate ad accogliere ammalati all'esterno della cinta muraria o, se all'interno, esclusivamente nelle immediate vicinanze delle porte cittadine.
 
Ospedale di san Francesco Grande
L'ospedale venne invece costruito in una zona che, se pure ancora dotata di ampi spazi verdi, aveva una già chiara e, per certi versi, ben definita destinazione abitativa. Ne fa fede il fatto che gli stessi fondatori non solo vi possedessero numerosi immobili, ma anche vi risiedessero. Tale ubicazione urbana ci consente di ipotizzare che il nuovo ospedale fosse destinato soprattutto alla popolazione stanziale, senza per altro che fosse negata ospitalità ai pellegrini, ai viandanti e ai mendicanti girovaghi.
 Ancor più caratterizzante è il fatto che l'Ospitale venne creato per fornire un'assistenza prevalentemente sanitaria, a differenza delle numerose altre analoghe iniziative religiose e laiche che, al di là delle denominazioni e dei propositi, offrivano quasi esclusivamente una generica ospitalità ai bisognosi di tutto. Va comunque sottolineato che anche questa "specializzazione" non precludeva il ricovero a chi fosse "solo" indigente; si deve anzi tener conto che all'epoca i confini tra povertà e malattia erano particolarmente sfumati, e che le due condizioni molto spesso coincidevano in un circolo vizioso di cause ed effetti.

I FONDATORI
 
Baldo Bonafari da Piombino, laureato in giurisprudenza, fu un consigliere fedelissimo dei da Carrara. Confinato a Venezia dopo la caduta dei Signori di Padova, utilizzò le sue conoscenze legali e le sue antiche amicizie per rientrare in possesso dei beni suoi e della moglie, espropriati dai veneziani, al fine di realizzare il suo impegnativo progetto benefico.
Sibilia de Cetto, di Gualperto, ricco mercante, proprietario terriero e prestatore di denaro, e di Benedetta di Pietro Campagnola, sposò in prime nozze Bonaccorso Naseri di Montagnana, dal quale ebbe dei figli deceduti in tenera età e inumati nella chiesa di San Lorenzo. Bonaccorso era dottore in legge e consigliere di Francesco il Vecchio da Carrara. Passato però nel 1388 dalla parte di Gian Galeazzo Visconti, al ritorno dei Carraresi venne giustiziato. La morte del marito aprì tra Sibilia e il suocero, protetto da Venezia, una lunga disputa successoria, che si protrasse anche oltre il matrimonio con Baldo Bonafari. È certo che Sibilia non fu meno decisa né meno abile del marito nella concretizzazione del comune progetto caritatevole.
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